Ricordo che non c’erano neanche gli uccelli. Arrivando in città mi assalì una strana sensazione: un silenzio che non avevo mai sentito. Non c’erano persone, non c’erano animali, non c’erano suoni. Sorvolai Banda Aceh (Indonesia) poche ore dopo lo tsunami che il 26 dicembre 2004 portò via 230.000 vite. Il tempo sembrava essersi fermato per sempre.
Lì sotto aveva brulicato una città, che il tramonto sorprese con una grande onda. Della città non rimanevano altro che piastrelle rotte per terra disperse dalle case. Non c’erano i resti dei tetti, né dei muri, né gli infissi delle finestre… il mare portò via tutto. Le moschee, grazie alle fondamenta messe dall’uomo, per alcuni, o grazie alla volontà di Allah, per altri, erano gli unici edifici che erano rimasti in piedi.
Ricordo le lacrime del pilota indonesiano in elicottero, sopportando quell’ immagine mentre volavamo e cominciavamo a vedere alcuni corpi aggrappati o scagliati contro una roccia, una roulotte, un grande albero… Il poco che il mare non era riuscito a spazzare via.
Dopo il disastro ricordo anche la vita. Penso con affetto alla scena di una madre che vedendo l’onda legò i suoi due figli a due grandi bidoni affinché potessero stare a galla. E così si salvarono. Non potrò mai dimenticare la distribuzione del primo aiuto alle madri con neonati. Potemmo aprirci il passo poco alla volta, arrivare fino alle vittime e costatare finalmente, ancora una volta, l’infinita capacità dell’essere umano di rimettersi davanti al dolore.
In più di 30 anni di esperienza umanitaria ho potuto vedere questa resilienza nei luoghi più duri e remoti. Oggi, 15 anni dopo il più grande disastro naturale dell’ultimo secolo, mi piacerebbe riconoscere il merito di tutte queste donne, uomini e bambini che impongono la vita dopo il disastro.
Olivier Longué
Direttore Generale Azione Contro la Fame Francia