La sicurezza è prerequisito per l’intervento umanitario. Gli operatori sul campo devono essere in grado di poter svolgere i loro compiti nelle migliori condizioni possibili, in modo da poter raggiungere efficacemente il maggior numero di persone in stato di necessità.
A livello internazionale, il personale umanitario beneficia di una protezione dettata dal Diritto Umanitario Internazionale (convenzione di Ginevra e protocolli addizionali) che ha ormai valore consuetudinario: tutti gli stati infatti, anche quelli che non l’hanno ratificata o i gruppi armati non statali, devono rispettare i suoi principi. Secondo l’Aid Worker Security Database, fra il 2003 e il 2013 sono però più che triplicati gli incidenti relativi agli operatori umanitari Solo nel 2013 sono 474, di cui l’87,97% ha coinvolto operatori locali. Proprio per la loro vicinanza alla gente ed al loro forte coinvolgimento nella vita delle comunità del posto, gli operatori umanitari locali sono quelli più a rischio fra quelli coinvolti nelle emergenze.
L’incolumità degli operatori umanitari è fondamentale. Bisogna per questo stabilire la soglia oltre la quale una certa situazione non è più accettabile e questa soglia varia in funzione del livello di bisogno delle popolazioni per cui è previsto l’intervento. Il paradosso è che spesso i bisogni maggiori sono presenti in luoghi con livelli di sicurezza più bassi. E’ quindi di primaria importanza improntare tutte le misure necessarie per ridurre il rischio dando particolare attenzione agli operatori locali, i quali hanno una esposizione al pericolo tale da dover essere gestita diversamente rispetto a quella degli espatriati.
Se il personale espatriato si occupa, oltre che dell’organizzazione, anche dell’analisi della sicurezza, gli operatori locali rappresentano l’azione nel quotidiano e la messa in opera dei programmi. L’analisi dei rischi nelle zone di intervento è sempre portata avanti con dei rappresentanti del posto per la loro esperienza del luogo. Gli operatori nazionali sono quindi importantissimi per mettere in atto programmi di qualità e per essere maggiormente accettati dalla popolazione locale. Conoscono i reali bisogni della popolazione e devono perciò partecipare alla concezione dei programmi e interagire con le autorità locali. Sono il contatto diretto con la gente del posto e dei preziosi mediatori in caso di incomprensioni.
Quando la situazione non permette la permanenza di personale espatriato (per rischio rapimento o incolumità fisica, per motivi politici o economici), i locali restano per gestire le operazioni guidati costantemente “a distanza”. Ovviamente, la loro permanenza deve soddisfare dei criteri di sicurezza minimi e tenere in considerazione molti fattori. Se da un lato, infatti, gli operatori nazionali sono degli interlocutori privilegiati per i beneficiari dei programmi, devono anche affrontare quotidianamente difficoltà specifiche, come ad esempio, l’ essere considerati neutrali se nel paese di intervento vi sono diatribe di stampo etnico o politico; oppure avere la possibilità di passare i confini del proprio paese. Questi sono tutti motivi che certamente influiscono – a parità di qualifica – sulle differenti mansioni di un locale rispetto ad un operatore espatriato.
Questi ed altri fattori sono da tenere in grande considerazione quando si parla di sicurezza durante gli interventi umanitari.
Le organizzazioni internazionali devono gestire prioritariamente la sicurezza per tutti i propri operatori, espatriati o locali che siano: i primi perché sono in un paese che non conoscono appieno e perché loro stessi sono vulnerabili a causa della loro visibilità. I locali, che sono il motore delle attività sul campo, devono dal canto loro ricevere una considerazione particolare a causa del loro status di attori interni.
Nel 2013 lo staff di Azione Contro la Fame contava oltre 5.400 operatori umanitari sul campo, di cui il 90% locale. Ogni giorno i nostri operatori prestano aiuto in 47 paesi del mondo in condizioni estremamente difficili, come lo Yemen in questi giorni. Anche per questo, Nelson Mandela anni fa disse: “ACF opera in terre dilaniate dalla guerra che molti hanno paura persino di calpestare”.