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La fame non è una dichiarazione politica

27 Dicembre 2018

Questo editoriale è stato originariamente scritto da Olivier Longué, Direttore Generale di Azione Contro la Fame Spagna per lavanguardia.com

Il livello di polarizzazione politica ha raggiunto ultimamente un’ampiezza tale da riuscire a rendere soggettivi fatti oggettivi come la fame, l’azione umanitaria o le migrazioni. Nessuno dei tre termini dovrebbe essere messo in discussione: sono parole che significano esattamente cosa significano, che si basano su dati e misurazioni, con la conseguenza che tutti gli elementi di interpretazione possono essere tralasciati.

L’elenco dei Paesi in cui la semplice insinuazione che ci sono bambini e bambine che soffrono di malnutrizione è usata come arma politica è diventato preoccupantemente lungo negli ultimi anni. E questa polemica non si limita solo a Paesi lontani: anche in Spagna, il riferimento a certe questioni di politica estera è viziato da un meticoloso calcolo politico di ciò che può potenzialmente essere ottenuto sotto forma di schede elettorali – carne da macello per alimentare il populismo.

La fame non è una dichiarazione politica. Affermare che la fame esiste non significa dire una determinata ala politica abbia ragione o torto.Per affermare scientemente che esiste una situazione di fame basta misurare il rapporto peso-altezza, la razione peso-età e il rapporto di circonferenza del braccio su un campione consistente di bambini sotto i cinque anni. E, soprattutto, bisogna farlo in modo libero e scientifico per essere in grado di risolvere immediatamente il problema, senza pretendere che qualcuno abbia ragione o torto. Ma in realtà, incontriamo difficoltà nell’ottenere una diagnosi accurata in molte parti del mondo, soprattutto perché sappiamo che non appena annunceremo i risultati saranno interpretati politicamente, all’interno e all’esterno del Paese, e non da una prospettiva umanitaria. Anche parlare dei problemi dell’alimentazione infantile in Spagna comporta connotazioni politiche del tutto inutili.

La stessa parola “umanitario” è un altro esempio di una parola spogliata dai politici dei suoi attributi di neutralità, imparzialità e trasparenza. Molti Paesi del mondo, gran parte dei quali con alti tassi di malnutrizione, associano la parola “umanitario” alla colpevolezza: credono che riconoscere il bisogno di aiuti umanitari sia riconoscere i loro fallimenti di governance. Negano la possibilità di un’azione basata unicamente ed esclusivamente sull’analisi dei bisogni e della capacità di risposta locale. Mentre deliberano sull’opportunità di usare il termine o iniziano a cercare sinonimi e parafrasi per alludere al tanto desiderato aiuto senza pronunciare la parola “umanitario”, centinaia o migliaia di bambini, donne e uomini soffrono inutilmente. Riconoscere troppo tardi una crisi umanitaria può essere dannoso tanto quanto la crisi stessa.

Infine, la parola “migrazione” è ora più che mai al centro dell’agenda politica in Spagna. Il fatto che la migrazione sia stata il più antico meccanismo di adattamento dell’umanità; il fatto che i migranti abbiano contribuito allo sviluppo economico o sociale dei popoli; il fatto che spesso risolvano una sfida demografica o il fatto che tutti i Paesi europei siano stati, una volta o l’altra, luogo d’origine di migrazioni sembra essere stato in qualche modo dimenticato.

Una conferenza internazionale sulle migrazioni si è appena svolta a Marrakesh con l’obiettivo di acquisire una visione più positiva della migrazione e dei diritti dei migranti sulla carta in un accordo non vincolante, ma politicamente importante. Mentre i meccanismi legislativi e di bilancio necessari per realizzarlo sono messi in atto, il tempo continua a scorrere. Scorre mentre fatti oggettivi accadono in luoghi di tutto il mondo, come il confine meridionale della Spagna, che oltre 59.000 persone hanno attraversato quest’anno perdendo più di 2.100 vite; l’ondata dal Messico agli Stati Uniti, che ha spostato più di 7000 persone solo il mese scorso; o la crisi che dal 2014 ha spostato più di due milioni e mezzo di venezuelani, rendendolo il fenomeno migratorio più accelerato degli ultimi decenni.

Dei 244 milioni di migranti nel mondo (appena il 3% della popolazione mondiale), solo 22,5 milioni sono rifugiati in fuga da un conflitto aperto o da persecuzioni politiche o religiose che mettono in pericolo le loro vite. Milioni di donne, bambini e uomini semplicemente fuggono dalla fame. Mentre passiamo il tempo a decidere se definirla o meno una crisi umanitaria, qualcuno dovrebbe aiutarli.

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