Dopo 3 decenni di conflitti, attacchi da estremisti, siccità, malattie e locuste, la Somalia ha un sistema sanitario troppo fragile per reggere la minaccia del coronavirus.
Quando, lo scorso 16 marzo, è stato annunciato il primo caso di coronavirus in Somalia, uno dei Paesi più poveri al mondo ha tremato ancora di più. Del resto, quasi tre decenni di conflitti, gli attacchi da parte di estremisti, la siccità, le malattie e una invasione di locuste hanno avuto un enorme impatto sulla sua popolazione. Le frequenti inondazioni, le carestie e la guerra hanno distrutto il sistema idrico del Paese: oggi solo il 30% dei somali ha accesso all’acqua potabile.
La Somalia è, oggi, classificata nella 194a posizione, su 195 Paesi, dal “Johns Hopkins Global Health Security Index” (2019), poiché presenta numerose criticità, in diversi ambiti: dalla gestione delle emergenze alla capacità di rispondere alle stesse, dalle attività di controllo delle più comune infezioni all’accesso all’assistenza sanitaria.
Lo ha confermato, recentemente, anche il Ministro della Sanità, Fawsia Abikar: in Somalia, mancano le attrezzature essenziali utili per effettuare le terapie intensive di cui i pazienti colpiti da COVID-19, a volte senza fiato, hanno un disperato bisogno e sono disponibili meno di 20 letti nell’ambito delle unità di terapia intensiva.
La Somalia non ha, inoltre, la capacità di diagnosticare il virus; ciò significa che i campioni vengono inviati all’estero e i risultati vengono comunicati con un ritardo di oltre una settimana. Il destino della Somalia dipende anche da un’altra criticità, ancora più pericolosa: il gruppo estremista di al-Shabab, legato ad al-Qaida, che controlla alcune zone delle regioni centrali e meridionali del Paese.
“Ciò che è accaduto in passato, in occasione di altre epidemie, come il colera nel 2017, ci rendono consapevoli sul fatto che sia improbabile che questi gruppi consentano alle organizzazioni umanitarie di accedere alle aree più bisognose bisognose”, ha dichiarato il direttore della Somalia per Azione Contro la Fame, Ahmed Khalif. Circa sei milioni di somali vivono in condizioni precarie. “Un focolaio della malattia – ha aggiunto Khalif –sarebbe catastrofico per chi è già vulnerabile”.
Azione Contro la Fame lavora a beneficio delle comunità più deboli in Somalia da oltre 20 anni, realizzando programmi alimentari a favore dei bambini malnutriti nella capitale, Mogadiscio, e cercando di favorire l’accesso alle cure mediche.