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Volti di rifugiati: testimonianze di Rohingya in esilio

30 Novembre 2017

Queste testimonianze sono state raccolte nel contesto del programma di Salute Mentale svolto da Azione Contro la Fame nei confronti delle popolazioni di rifugiati. 
La strada che li ha portati in esilio è disseminata di violenze e abusi, che questi rifugiati hanno subito in prima persona o visto perpetrare, e ha generato un grande bisogno di assistenza psicologica.

FOYAZ, 10 ANNI: IL DISEGNO COME TERAPIA

Stringendo una matita gialla, il piccolo Foyaz Islam disegna immagini che lo fanno sorridere: una casa, dei fiori, dei pesci. È uno dei tanti nuovi arrivati ​​nel campo profughi di Kutapalong, in Bangladesh. Come altri 240.000 bambini Rohingya, Foyaz, i suoi sei fratelli e i suoi genitori hanno dovuto fuggire dalle loro case in mezzo a un’offensiva militare.

“Il popolo di Rakhine ci stava uccidendo, ecco perché siamo partiti.”

Oggi, la sua famiglia, che era relativamente ricca, non ha più niente e cerca di sopravvivere in questo vasto campo profughi. Foyaz spiega che dal loro arrivo 20 giorni fa, il cambiamento è “difficile da accettare,” aggiungendo che lo rende “nervoso” .

Tuttavia, questi stress si sono attenuati con l’arrivo – appena fuori dal suo rifugio – del team di salute mentale di Azione Contro la Fame con matite e carta, offrendo l’arte come forma di terapia.

Ero abituato a disegnare quando ero a casa in Myanmar, e questo mi rende felice, anche quando disegno qui,” dice con un sorriso.

 

YASMINE, 15 ANNI: DIMENTICARE GLI ABUSI

Il legame di Yasmine con suo padre Sayad Hossan era tale, ci ha detto con un sorriso, che sapeva quando era nelle vicinanze: “Potevo dire se era per strada”.

Yasmine crede di avere 15 anni, ma sembra molto più giovane.

I ricordi dei giochi che faceva nel suo villaggio, Deol Toli in Myanmar, sono ancora freschi quando li racconta: giocare con le biglie, a palla, correre nei campi dietro casa… Ma i ricordi che infestano la sua memoria sono più recenti: l’attacco delle forze militari del Myanmar contro il suo villaggio poche settimane fa, le percosse e l’omicidio di suo padre e dei suoi due fratelli, lo stupro di gruppo di soldati…

“Mi sentivo malissimo,” dice, spiegando che durante tutto il viaggio verso Bangladesh, sua suocera e suo cognato le hanno tenuto la mano per tranquillizzarla mentre viaggiava a fianco i suoi sei fratelli e sorelle.

Durante il viaggio è svenuta per la debilitazione a cui era sottoposta ed è stata portata in ospedale prima di arrivare al campo profughi di Kutpalong, il luogo che lei e altri 300.000 Rohingya ora sono costretti a chiamare “casa” .

Ma per Yasmine l’idea di tornare in Myanmar è impensabile.

“Quando penso a mio padre mi sento molto triste, ma almeno qui non vivo nella paura“. Alla domanda sui suoi sogni, la risposta è semplice: “Voglio solo vivere normalmente e in sicurezza con la mia famiglia.”

MOHAMMED, 30 ANNI: SUPPORTO PSICOLOGICO NEL CUORE DEL CAOS

Questa è la prima volta che Mohammed Tayab, 30 anni, ha partecipato a una sessione di gruppo sulla gestione dello stress, ma vuole mettere in pratica le tecniche che ha imparato alla prima occasione. Tenuta da un membro del team di Salute Mentale di Azione Contro la Fame nel campo di Kutapalong in Bangladesh, Tayab afferma che la sessione “non è una medicina, ma è comunque una forma di cura.”

Queste sessioni includono tecniche di rilassamento e meditazione, e nonostante il tempo trascorso con il gruppo sia stato breve l’ha già fatto sentire meglio riguardo alle innumerevoli sfide che deve affrontare come rifugiato appena arrivato al campo. “In generale, mi sento male: mi sento vulnerabile, anche i biosgni primari faticano a essere soddisfatti e lo stress si accumula,” dice Tayab.

Taglialegna del villaggio di Nassan in Myanmar, Mohammed è fuggito dalla sua casa con sua moglie e i suoi figli nel mezzo dell’offensiva militare iniziata a fine settembre, che ha spinto oltre mezzo milione di Rohingya in Bangladesh. “Ho visto centinaia di persone venire uccise davanti ai miei occhi,” dice. 

Oggi teme che i suoi figli non saranno in grado di ricevere un’istruzione ed è preoccupato per l’incertezza del futuro di tutti loro. “Non c’è nulla di permanente qui per noi, non abbastanza acqua e non abbastanza servizi igienici. Siamo confusi – quanto dovremmo restare qui?” ha detto, prima di aggiungere :” Quando mi trovo di fronte a queste domande mi assale l’ansia. Credo che le tecniche di gestione dello stress fornite da Azione Contro la Fame mi aiuteranno ” .

 

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