In alcuni Paesi, il 38% della popolazione non ha accesso all’acqua, il 35% non dispone di sapone, negli ospedali spesso 0,3 posti letto per 1.000 abitanti.
In Africa è un’emergenza nell’emergenza: i dati su sistemi sanitari, insicurezza alimentare e restrizioni confermano le preoccupazioni dell’ONU.
“Il rapporto ‘Covid-19 in Africa’, recentemente redatto dalla Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite, così come gli ultimi dati legati alla sicurezza alimentare illustrati dalla Fao, dal World Food Programma e dall’OCHA, confermano che questa pandemia rappresenti, davvero, una emergenza nell’emergenza per il continente africano”.
Lo ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione Contro la Fame. Secondo il documento targato Uneca, il Covid19 potrebbe causare la morte di un numero elevato di persone, fino a 3.300.000 individui. Inoltre, per la commissione ONU, da 2,3 a 22,5 milioni di persone potrebbero aver bisogno di un ricovero in ospedale. Da 500 mila a 4,4 milioni, infine, potrebbero avere la necessità di ricorrere a terapie intensive. Il costo delle spese sanitarie effettuate in regime di emergenza potrebbe toccare, addirittura, 44 miliardi di dollari.
Il perché è presto detto. Nei Paesi a basso e medio reddito, il 38% della popolazione non ha, oggi, accesso all’acqua pulita, mentre e il 35% non dispone di sapone e di acqua per lavarsi le mani. Nel settore sanitario, i mezzi sono, inoltre, insufficienti per prevenire la diffusione del virus: nell’Africa occidentale e centrale, per esempio, i Paesi hanno una media di 0,3 letti d’ospedale per 1.000 abitanti. Il numero di casi potrebbe aumentare, rapidamente, nelle prossime settimane: i nuovi modelli della London School of Hygiene and Tropical Medicine prevedono con certezza del 95% che tutti i Paesi africani raggiungeranno i 10.000 casi entro i primi di giugno.
Ma l’emergenza non è solo determinata dalla fragilità dei sistemi sanitari. Riguarda anche la compresenza del coronavirus con le crisi alimentari preesistenti. Criticità che saranno, inevitabilmente, aggravate dal numero di adulti e genitori contagiati, che non potranno prendersi cura dei propri figli, o dalle restrizioni promosse dai governi per limitare la diffusione del virus, che avranno un impatto negativo su economie già deboli.
Somalia: un sistema sanitario fragile per affrontare la pandemia
Dopo almeno tre decenni caratterizzati da conflitti, attacchi promossi da estremisti, siccità, malattie e invasioni di locuste, la Somalia presenta, oggi, un sistema sanitario troppo fragile per reggere la minaccia-coronavirus. Lo ha confermato, recentemente, anche il Ministro della Sanità: qui mancano le attrezzature essenziali utili per effettuare le terapie intensive; sarebbero disponibili meno di 20 letti ICU. Le frequenti inondazioni, le carestie e la guerra hanno, inoltre, compromesso il sistema idrico del Paese: oggi, del resto, solo il 30% dei cittadini ha accesso all’acqua potabile. Per molte delle decine di migliaia di famiglie di sfollati che vivono nei campi di insediamento a Mogadiscio, il distanziamento sociale, infine, non è una opportunità percorribile. Secondo le Nazioni Unite, solo in Somalia, sono oltre 2,6 milioni gli sfollati.
Per sostenere le autorità locali nella lotta contro il virus, Azione Contro la Fame sta supportando l’azione promossa dal Ministero della Sanità nell’attuazione del piano nazionale di risposta. L’organizzazione fornisce mascherine, guanti, sapone e punti di lavaggio delle mani all’interno dei centri sanitari, in un momento in cui i prezzi dei dispositivi di protezione individuale sono quadruplicati nelle ultime settimane. Azione Contro la Fame, inoltre, forma gli operatori sanitari garantendo loro un’equa distribuzione delle forniture mediche collaborando con l’agenzia per gli aiuti umanitari dell’Unione europea (ECHO).
Congo: la malnutrizione e il COVID19, chi si prenderà cura dei più piccoli?
L’emergenza-coronavirus riguarda anche un Paese già caratterizzato da una crisi nutrizionale senza precedenti: d’altra parte, tra i bambini di età inferiore ai cinque anni, nella Repubblica democratica del Congo, 2,3 milioni soffrono di malnutrizione acuta moderata e 1,1 milioni di forme di malnutrizione acuta grave e la cui vita è già in pericolo. “C’è il rischio che tanti adulti possano essere colpiti dal virus, generando una diffusa impossibilità di accedere ai mezzi di sussistenza e un conseguente incremento della malnutrizione infantile”, prosegue Garroni.
Dopo aver aiutato 1.263.464 di persone in materia di salute e nutrizione, sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza, acqua, igiene e supporto psicologico, Azione Contro la Fame supporterà, complessivamente, 40 centri sanitari a Kinshasa fornendo un sostegno concreto alle comunità più vulnerabili – attraverso la fornitura di acqua potabile – e alle strutture sanitarie (gestione dei rifiuti, formazione dei caregiver sulle norme di prevenzione, disinfezione regolare dei locali per prevenire e limitare la diffusione del virus). L’organizzazione ricorda, infine, che la pandemia rischia di produrre, anche in questo caso, conseguenze indirette a lungo termine, sbilanciando i già fragili sistemi economici e agricoli.
Camerun: instabilità politica e scarsa igiene, anticamera della diffusione del virus
L’emergenza è giunta in un Paese caratterizzato, oggi, da una forte instabilità politica. Nell’estremo nord, sono sempre più numerose le popolazioni sfollate a causa del conflitto in corso con gruppi estremisti armati. Qui solo il 14,3% delle persone ha accesso a strutture igienico-sanitarie e la pandemia, in questa zona, potrebbe generare effetti particolarmente dannosi sulla già scarsa condizione di sicurezza alimentare.
Integrando i programmi esistenti, l’organizzazione ha fornito un supporto tecnico al Centro operativo di emergenza per la salute pubblica del Ministero della Salute, impiegando sei squadre mobile a Yaoundé nell’ambito di attività di monitoraggio di persone che abbiano avuto un contatto con contagiati. Come nei quasi 50 Paesi in cui è impegnata, Azione Contro la Fame ha attuato anche una vera e propria campagna di prevenzione, con particolare riferimento alla condivisione di regole d’igiene di base capaci di ridurre la trasmissione del coronavirus.
Sahel: insicurezza alimentare e restrizioni, qui piove sul bagnato
In questa regione l’emergenza coronavirus, oltre che le restrizioni messe in campo dai governi per contenere l’epidemia, rappresenta una ulteriore minaccia in un’area, quella sub-sahariana, dove 19 milioni di persone sono già a rischio sicurezza alimentare, dopo anni di siccità e conflitti. “Va ricordato che il sistema sanitario nei Paesi situati in questa zona è sotto pressione per dieci mesi su dodici e che in poche settimane, con l’arrivo della stagione delle piogge, cominceranno ad aumentare i casi di malnutrizione tra i bambini di età inferiore ai cinque anni”. Le popolazioni dovranno far fronte a sistemi sanitari caratterizzati da una media di 0,5 medici ogni 1.000 abitanti.
A causa dell’emergenza e delle misure di contenimento, inoltre, i pastori non saranno in grado di effettuare la transumanza stagionale. Sarà, dunque, colpita la pastorizia, uno dei principali settori che garantiscono la sussistenza in queste regioni, incrementando il numero dei pascoli “impoveriti” e generando nuove tensioni tra pastori e agricoltori. La chiusura delle frontiere limiterà anche i movimenti dei civili che fuggono dalla violenza in aree come il nord del Mali o il bacino del Lago Ciad.
Una risposta oltre la salute. Un piano integrato in tre punti
La protezione del personale sanitario e il rafforzamento della capacità dei sistemi sanitari nella diagnosi delle malattie saranno, certamente, cruciali nelle prossime settimane. Azione Contro la Fame invita la comunità internazionale a adottare anche una risposta che tenga conto delle conseguenze socioeconomiche legate alle restrizioni messe in atto per contenere la diffusione del virus, con particolare attenzione ai rifugiati e alle donne.
L’ONG, in queste ore, sta intanto mettendo in atto a un grande piano umanitario in Africa, che mira a implementare i programmi già esistenti.
Tre sono i punti chiave:
- implementazione delle misure di assistenza del personale e distribuzione di dispositivi di protezione;
- adeguamento dei programmi preesistenti ai nuovi standard sanitari, per evitare la propagazione di virus;
- promozione di buone pratiche igieniche di base in centri sanitari, campi profughi e comunità rurali, grazie anche alla nostra esperienza che ci permette ogni anno di sensibilizzare circa nove milioni di persone.