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Siria: 9 milioni di persone vivono in condizione di insicurezza alimentare

2 Luglio 2020

In occasione della quarta Conferenza di Bruxelles sul tema “Sostenere il futuro della Siria e della sua regione”, presieduta ieri da Unione Europea e Nazioni Unite, Azione contro la Fame lancia un appello alla comunità internazionale. L’organizzazione ribadisce che la situazione in Siria, al decimo anno di conflitto, resta critica: oltre ai gravi bisogni umanitari, è infatti necessario rispondere alla crisi sanitaria determinata dalla pandemia di Covid-19. L’80% dei cittadini siriani, già prima dell’emergenza-coronavirus, viveva al di sotto della soglia di povertà; migliaia persone hanno, oggi, perso le proprie fonti di reddito a causa delle misure di contenimento promosse dalle autorità locali. La crisi economica, politica e finanziaria nel vicino Libano (dove dal 2011 vivono 1,5 milioni di siriani) e la “spirale inflazionistica” in Siria sta aggravando questa situazione.

“Molti siriani comunicano al nostro staff locale che, per vivere, sono costretti a prendere in prestito denaro per soddisfare i propri bisogni di base e a mangiare di meno. Durante i precedenti i nove anni di crisi, donne e uomini hanno sfruttato tanto i pochi mezzi di sussistenza e i servizi, soprattutto nelle comunità con minori opportunità”, ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame. “In Libano – prosegue Garroni – l’attuale crisi ha inoltre condotto la metà della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Il 70% dei libanesi e l’88% dei rifugiati siriani ha perso il lavoro o, comunque ha subito una riduzione del proprio salario. La competizione per ottenere un lavoro genera, per di più, ulteriori problemi: il 56% dei libanesi, per esempio, ha riconosciuto di aver percepito un incremento della tensione sociale e della violenza”.

Sempre più persone, in Siria, muoiono di fame. Circa 9,3 milioni vivono una condizione di insicurezza alimentare, si tratta del numero più alto mai registrato. Il potere d’acquisto è in calo, mentre i prezzi sono sempre più alti: gli alimenti di base sono hanno subito, in media, un aumento di oltre il 200% rispetto a un anno fa.

La metà della popolazione siriana prima che iniziasse la guerra – oltre 12 milioni di persone – è sfollata in tutto il Paese o rifugiata nella regione. Le possibilità legate al rientro a casa di 6,7 milioni di sfollati interni e 5,5 milioni di rifugiati nei Paesi vicini sono al momento incerte, poiché le opportunità di lavoro sono limitate e, in alcune aree, le ostilità continuano. “Il costo di quasi un decennio di conflitto in Siria è incalcolabile: gran parte delle infrastrutture del Paese è stata gravemente danneggiata o distrutta, tra cui più della metà degli ospedali pubblici, una scuola su tre e gran parte della rete di approvvigionamento idrico”, conclude Simone Garroni. “In Libano, nel frattempo, a causa della povertà, due terzi dei rifugiati hanno visto ridursi le razioni di cibo. Più di un terzo degli adulti limita, addirittura, il consumo di alimenti in modo che i bambini possano mangiare”. 

Più di 5,5 milioni di persone hanno bisogno, a vario titolo, di una qualche forma di assistenza. Si stima che quasi 2,5 milioni di giovani non vadano a scuola. Più di 15 milioni di persone, inoltre, hanno bisogno di acqua e servizi igienici. “Azione contro la Fame, insieme con altre organizzazioni umanitarie, sta cercando di garantire la continuità dei servizi legati alle esigenze di base. In Siria, realizziamo un duplice intervento: una attività in termini di emergenza per salvare vite umane e, allo stesso tempo, un’azione tesa a soddisfare i bisogni fondamentali delle persone e delle comunità vulnerabili. Ci occupiamo, inoltre, della fornitura di acqua tramite autocisterne e del ripristino di sistemi idrici sicuri”, ha aggiunto Chiara Saccardi, responsabile geografico dell’area del Medioriente di Azione contro la fame.

Alla luce di questo scenario preoccupante, i fondi promessi dagli Stati che partecipano alla conferenza di Bruxelles devono continuare, sempre più, a sostenere le popolazioni, allo scopo di consentire agli attori umanitari di far fronte agli effetti della pandemia e, allo stesso tempo, di proseguire i programmi che rispondano alle esigenze già esistenti. L’obiettivo è quello di supportare la resilienza della popolazione e programmare la ripresa

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