Quando la terra brontola anche milioni di stomaci brontolano per cambiamenti climaticiQuando la terra brontola anche milioni di stomaci brontolano per cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici e la fame nel mondo: il video-denuncia in vista della pre-cop26

28 Settembre 2021

“Negli ultimi anni, i disastri naturali connessi alla crisi climatica stanno spingendo milioni di persone già vulnerabili verso condizioni di vita ancora più precarie, mettendo in pericolo la loro sicurezza alimentare: è arrivato il momento di agire”

 Lo ha dichiarato il direttore generale di Azione contro la Fame, Simone Garroni, presentando il video-denuncia promosso dall’organizzazione in vista della Pre-Cop 2021, che prenderà il via il 30 settembre in Italia. L’obiettivo del filmato è quello di sensibilizzare la comunità internazionale sul nesso tra cambiamenti climatici e fame nel mondo.

I cambiamenti climatici e le fame - video denuncia

L’obiettivo del filmato è quello di sensibilizzare la comunità internazionale sul nesso tra cambiamenti climatici e fame nel mondo.

Riproduci video

“L’intero pianeta sta affrontando, oggi, un aumento considerevole delle temperature, stagioni delle piogge irregolari, lunghi periodi di siccità - prosegue Garroni -. Tali eventi determinano ulteriori difficoltà in ordine all’accesso ai mezzi di produzione e all’acqua e incidono, negativamente, sulla capacità delle popolazioni di produrre cibo in quantità e qualità sufficienti. È proprio così: il ‘rumore’ dei disastri naturali è anche la premessa dell’insicurezza alimentare e noi lo vogliamo ribadire con forza in occasione dell’evento preparatorio al 26° vertice Onu sul clima di Glasgow, che si tiene a Milano”.

Del resto, entro il 2030, a causa della crisi climatica, il numero dei poveri potrebbe aumentare fino a più di 100 milioni di persone. “Oltre a quella climatica, che di per sé rappresenta un dramma per milioni di persone – afferma Garroni – si profila una crisi ancora più grande: il collasso del nostro sistema alimentare. Mentre il mondo si concentra, giustamente, sulla prossima Pre-Cop, il legame tra disastri naturali e alcuni diritti umani fondamentali come cibo nutriente, acqua pulita e salute deve essere all’ordine del giorno. La minaccia di una carestia indotta dal clima si sta diffondendo, infatti, sempre di più nel Sud del mondo”.

Tre Paesi alle prese con la crisi climatica

La crisi climatica, per esempio, sta mettendo a rischio Paesi: è il caso di Haiti, Madagascar e Bangladesh, tanto diversi tra loro ma altrettanto accomunati dalle conseguenze nefaste del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare. 

Haiti. Il Paese è colpito regolarmente da catastrofi naturali (come gli uragani Matthew e Irma del 2016 e 2017), da terremoti e tempeste tropicali. L’ultimo episodio, il sisma di magnitudo 7.2 seguito dalla tempesta tropicale Grace, ha causato oltre 1.900 morti e, complessivamente, ha coinvolto 1.2 milioni di persone, di cui quasi la metà sono bambini. A causa del solo uragano Matthew, l’80% dei raccolti e la grande maggioranza del bestiame sono andati distrutti. 

Madagascar. È uno dei Paesi africani più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici come cicloni, siccità e inondazioni. Qui periodi di siccità sempre più lunghi e frequenti hanno aggravato la carenza d’acqua e inciso, negativamente, sui mezzi di sostentamento della popolazione locale. Si stima che oltre 1.3 milioni di persone nella regione soffriranno di grave insicurezza alimentare e che 28.000 di queste si troveranno in situazione di carestia. Sono oltre 27.000 i bambini sotto i 5 anni che soffrono di malnutrizione acuta grave. 

Bangladesh. Con il 41% dei bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione cronica, è uno dei territori che registra un tasso di malnutrizione fra i più elevati della Terra. La salute pubblica è, oggi, compromessa dalle scarse risorse idriche, da disastri naturali ricorrenti, come cicloni e alluvioni stagionali. In questo contesto quasi un milione di Rohingya, rifugiati in Bangladesh per sfuggire alle violenze subite in Myanmar, vive per la grande maggioranza in campi profughi: si tratta di aree a rischio di inondazioni, frane e altri disastri. A fine luglio 2021, molti dei ripari sono andati distrutti a seguito delle di alluvioni e frane causate dalla pioggia intensa.

“Questi tre scenari ci dicono che è giunto il momento di studiare soluzioni concrete: penso ai sistemi di allerta precoce, capaci di indirizzare i pastori verso terre all’agricoltura e alla pastorizia, alla costruzione di infrastrutture idrauliche per trattenere l’acqua piovana, alla promozione di colture più resistenti adatte anche a zone colpite dalla siccità e all’agroecologia che, insieme con la distribuzione di aiuti monetari, consentono di riattivare le economie locali colpite dai disastri naturali. L’obiettivo - conclude Garroni - è quello di scongiurare nuove crisi connesse ai cambiamenti climatici”.

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