Il campo profughi più grande al mondo
Situato a ridosso del Golfo del Bengala, in una città nota anche con il nome di Panowa, cioè “fiore giallo”, Cox’s Bazar è oggi una vera e propria metropoli; un’area estesa in cui si è consumata, negli ultimi anni, una delle più grandi crisi umanitarie mai avvenute.
Il “giallo” rievocato da Panowa è anche il colore dell’energia che Azione contro la Fame ha profuso, in questi anni, per gestire i massicci movimenti di popolazione dallo stato di Rakhine, in Myanmar.
Qui, dal 2017, quasi un milione di Rohingya ha attraversato il confine con il Bangladesh, stanziandosi proprio a Cox’s Bazar, nei pressi di una spiaggia che si estende per oltre 120 chilometri.
Attualmente, circa un milione di persone si è rifugiato in questi villaggi. Tra di esse migliaia di bambini: oltre il 40% di loro soffre di malnutrizione cronica e le percentuali di malnutrizione acuta che li riguardano sono molto al di sopra delle soglie di emergenza stabilite dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Azione contro la Fame risponde a tre grandi emergenze
In questa area del Bangladesh, tre anni or sono, Azione contro la Fame è intervenuta per rispondere, concretamente, alle tre principali emergenze: la crisi dei rifugiati Rohingya ma anche il Tifone Mora e le inondazioni nelle regioni nord-occidentali.
In collaborazione con diverse organizzazioni locali e internazionali, i nostri team hanno pianificato interventi di prevenzione e trattamenti della malnutrizione acuta. Sono stati, inoltre, artefici di attività a sostegno delle persone vulnerabili, attraverso azioni mirate promosse nei settori dell’alimentazione e della salute, dell’acqua e dell’igiene. Allo stesso tempo, Azione contro la Fame, grazie all’opera di 1.248 operatori e 1.555 volontari, ha continuato alla realizzazione di programmi utili per rafforzare la resilienza delle comunità e per sostenere il governo locale nella lotta contro la malnutrizione acuta.
All’interno di Cox’s Bazar, oggi, vengono serviti ogni giorno mille khichuri (un piatto locale fatto di riso, lenticchie, spezie e verdure) e 1.600 pasti caldi. Sono ben 11 le cucine comunitarie presenti. I più piccoli, come sempre, restano i soggetti vulnerabili più monitorati dai nostri operatori: 70.274 bambini sotto i cinque anni sono controllati, ogni mese, per scongiurare casi di malnutrizione. 26.881 bambini malnutriti, inoltre, hanno avuto accesso a trattamenti nutrizionali.Da quando abbiamo iniziato a operare al Cox’s Bazar, i nostri operatori hanno distribuito quasi 90mila kit di igiene, installato 4.388 servizi igienici e messo a regime 289 punti di accesso all’acqua.
Assicuriamo, inoltre, attività di sostegno psicologico a 151.131 rifugiati per aiutarli a superare il trauma delle violenze subite e vivere meglio la loro condizione di rifugiati all’interno di in un campo profughi.
A Teknaf, all’interno del campo n. 4, uno degli oltre 30 campi profughi di Cox’s Bazar, Azione contro la Fame ha fornito, nei periodi maggiore crisi, fino a 80.000 pasti al giorno destinati anche a mense e ospedali. All’interno del centro di stabilizzazione, grazie al supporto dei nostri donatori, possiamo fornire aiuto ai bambini malnutriti e che presentano complicazioni mediche. Assicuriamo, inoltre, ore di formazione alle mamme per condividere consigli sulla cura dei propri bambini. Facciamo, infine, attività di screening sui più piccoli attraverso la misurazione del braccio, allo scopo di verificare il livello di malnutrizione e fornire, se necessario, cibo terapeutico pronto all’uso – Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame.
LA TESTIMONIANZA DI MAHADI
Mahadi racconta l’arrivo dei Rohingya nella “Terra di nessuno”
A un mese dall’apertura del processo contro il Myanmar che alla Corte Internazionale dell’Aia deve rispondere dell’accusa di genocidio per le violenze perpetrate nei confronti della minoranza Rohingya, siamo andati a Cox’s Bazar, in Bangladesh, per visitare il campo profughi più grande del mondo e parlare con il protagonista dell’intervento di Azione contro la Fame.
Il 25 agosto 2017 cominciarono ad ammassarsi al confine con il Bangladesh decine di migliaia di Rohingya costretti a fuggire dal Myanmar dove avevano subito violenze, uccisioni, stupri e visto le proprie case bruciate dai militari. Dopo molti giorni di cammino, i Rohingya sono arrivati disperati ed affamati nella “Terra di nessuno” lungo il fiume che separa i due Paesi.
Nessuna organizzazione umanitaria aveva però il permesso di accedere alla Terra di nessuno.
Appena mi sono reso conto di quel che stava succedendo, il 26 agosto sono andato sul confine e ho chiesto immediatamente al governo del Bangladesh l’autorizzazione a prestare aiuti – racconta Mahadi, responsabile della base di Azione contro la Fame a Cox’s Bazar – ma l’autorizzazione mi è stata negata.
Mahadi però non si è arreso. Unico capo Bangla delle organizzazioni internazionali presenti, ha mostrato le immagini raccolte a tutti i suoi contatti presso le autorità locali e ha cercato di convincerli facendo appello alla loro umanità: “Sono persone! Hanno bisogno di aiuto immediato, dobbiamo fare qualcosa!”, ottenendo ufficiosamente almeno il permesso di portare acqua e cibo.
Ma nel cielo sopra il confine stazionavano sia gli elicotteri dell’esercito del Bangladesh che quelli del Myanmar, che sparavano proiettili dall’alto e in queste condizioni di pericolo anche i responsabili internazionali di Azione contro la Fame non erano ancora propensi a lasciar andare Mahadi.
“Il flusso di persone al confine continuava ad aumentare senza sosta e non potevo restare senza fare nulla e ho deciso di andare comunque”. Mahadi ha così riunito il proprio team di operatori umanitari, ha spiegato loro che sarebbero potuti morire e che nessuno era obbligato ad andare.
Il 27 agosto Mahadi è andato alla Terra di nessuno e, con il suo team di volontari, è riuscito a portare a spalla, 10.000 razioni di acqua e di cibo preparato nelle community kitchen di Azione contro la Fame per i Rohingya che sempre di più occupavano i pochi metri di terra e fango lungo il fiume al confine tra Myanmar e Bangladesh. “Erano talmente traumatizzati e stremati che restavano seduti, fermi e quasi non reagivano”.
La sera stessa del 27 agosto Mahadi ha aggiornato della situazione i responsabili internazionali di Azione contro la Fame ottenendo il via libera a proseguire l’intervento ed anche a utilizzare le scorte di acqua e di cibo. “Le scorte sarebbero dovute servire per dare da mangiare fino a novembre ai 3.000 rifugiati Rohingya del campo profughi già attivo a Cox’s Bazar, ma non potevamo aspettare di avere nuovi fondi”.
Nei giorni successivi i community leader dei Rohingya ammassati sul confine hanno cominciato ad aiutare ad organizzare internamente la ricezione degli aiuti; le altre organizzazioni umanitarie, che non avevano il permesso di accedere alla Terra di nessuno, aiutavano segnalando ad Azione contro la Fame le aree lungo il confine dove nuovi Rohingya arrivavano a migliaia ogni giorno.
I soldati del Bangladesh che presidiavano confine mettevano il fucile dietro le spalle e consentivano a Mahadi e ai suoi di passare con gli aiuti, che proseguivano, sempre a piedi e a mano.
“Il 4 settembre durante la Festa della fine del digiuno – in cui i musulmani celebrano la fine del Ramadan insieme alla famiglia, mangiando dolci, facendo doni ai piccoli, donando ai bisognosi e indossando vestiti nuovi – mi è arrivata la notizia che gli elicotteri sopra la Terra di nessuno hanno sparato una pioggia di proiettili e fatto una strage. Sono andato subito sul posto e lì ho trovato decine di feriti e 17 cadaveri. Ho chiamato allora Medici senza Frontiere per chiedergli di venire a soccorrere i feriti ma mi hanno risposto che non avevano accesso alla Terra di nessuno. Potete venire almeno al confine.
Così io e i miei, ancora indossando il vestito della festa, abbiamo dovuto portare a braccio i feriti fino alla clinica mobile di MSF al confine.
Per i morti, abbiamo poi fatto una colletta per acquistare i sacchi da cadavere, ho chiamato un leader locale e un imam che conoscevo e gli ho chiesto di organizzare la sepoltura e una cerimonia funebre. Per me essere “umanitari” vuol dire anche questo, al di là dei propri compiti”.
In soli 20 giorni il numero di pasti giornalieri preparati da Azione contro la fame con le community kitchen era riuscito ad arrivare a oltre 85.000; ma negli stessi giorni il numero dei rifugiati era arrivato a oltre 300.000 e continuava a crescere.
Il 12 settembre il Primo Ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, quasi riprendendo le parole di Hamadi, dichiara: “sono esseri umani, non possiamo rimandarli indietro, non possiamo farlo”.
Il Parlamento decide di aprire i confini e consentire il l’accoglienza temporanea dei profughi, in attesa che si creino le condizioni per il loro ritorno in patria in Myanmar.
Nel corso dei mesi finali del 2017 sono stati oltre 740.000 i Rohingya fuggiti dalle violenze in Myanmar e il lavoro di Mahadi e di tutto lo staff di Azione contro la Fame è stato immenso, ma la situazione dei Rohingya è comunque ancora molto difficile: non possono tornare in Myanmar senza che la loro vita sia minacciata e i loro diritti negati, la vita nei campi profughi è comunque precaria, dipende interamente dal sostegno umanitario, non c’è possibilità di lavorare, poche prospettive per i propri figli, le abitazioni di plastica e bambù hanno poco spazio e sono esposte alle piogge continue della stagione dei monsoni. Non sono liberi.
Azione contro la Fame è un’organizzazione umanitaria e continuerà a fare del proprio meglio perché i profughi Rohingya continuino a sentirsi al sicuro e ad avere cibo, acqua, cure mediche, un tetto sotto il quale vivere.
Ma è necessario che le istituzioni trovino un accordo per risolvere una crisi drammatica che, al momento, ancora non trova una via d’uscita.