MOUSA IBRAHIM AL SHAIDOUN, 50, DI IDLIB (SIRIA)
“Quando è cominciata la guerra? Quando un aereo militare è volato sopra la nostra casa e i bambini si sono fatti la pipì addosso. Giorni dopo l’esercito ha circondato la nostra città e ci ha avvertiti: Un passo falso e ditruggeremo ogni cosa. Così ci siamo nascosti nel seminterrato e di sera restavamo in silenzio, al buio, senza nemmeno la luce di una lampadina.
Un giorno, i ribelli hanno provocato l’esercito e ci hanno dato 24 ore per evacuare le case. Uscimmo. Chiudemmo perfino la porta a chiave, che ingenui, vero? Hanno bruciato tutto, ogni angolo, non è rimasto niente. Dopo poco cominciarono anche i bomabardamenti e a quel punto avevamo veramente paura, Non abbiamo avuto altra scelta che fuggire via.
Siamo partiti per il Libano e, mentre passavamo per Homs, abbiamo visto decine di morti sparsi per le strade. I miei figli guardavano fuori dalla finestra e chiedevano senza sosta: “Perché nessuno li sveglia?” Finora non siamo stati in grado di rispondergli.
Sono passati quasi sei anni da quando sono entrati in Libano attraverso le montagne. La prima settimana hanno dormito all’aperto, di fronte a una moschea. Dopo si sono stabiliti a Ghaze 16, uno degli oltre 200 insediamenti informali nella valle di Bekaa. Da allora hanno avuto altri due figli, portando la famiglia a undici parsone.
Ibrahim era un tassista prima della guerra, ma qui è impiegato in lavori stagionali in cambio di un piccolo stipendio per mancanza di permesso di soggiorno. “Temo che avremo lo stesso destino dei palestinesi e passeremo la nostra vita nell’attesa di tornare in Siria”. Dice che continua a ripetere che questa crisi è temporanea per rassicurare se stesso, ma concludedisperato: “Ho paura del domani. Ho paura per il futuro dei miei figli. Che cosa accadrà se il Libano ci caccia fuori? Dove possiamo andare? “
SAJA, 27, DI ALEPPO. ARRIVATA NELLA VALLE DI BEEKA 4 ANNI FA
Saja lavora la terra di un agricoltore per 7 dollari al giorno. Il lavoro è stagionale, quindi in inverno le opportunità di lavoro, seppure informali, precipitano. “I proprietari terrieri preferiscono assumere donne o bambini perché li possono pagare meno degli uomini. Mio marito ha provato a lavorare come tassista, ma non riusciva a trovare alcun lavoro, e mio figlio lavora in un’autofficina per 5 dollari al giorno”.
SHAMSA ALHALAF ABID, 40, DA RAQQA
Shamsa è la Shawish, il capo, di uno degli insediamenti informali di rifugiati siriani nella Valle di Bekaa in Libano. È arrivata da Raqqa, Siria, nel 2013, dopo che una bomba ha distrutto la sua casa. Lei è una vedova e ha tre figli adolescenti, nessuno va a scuola. Sua figlia ha 14 anni ed entro 10 giorni è previsto il suo matrimonio con un altro rifugiato.