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Il Senegal ha sete

21 Gennaio 2019

Quando ero bambina qui la vegetazione era rigogliosa, adesso invece ci sono solo sabbia e vento. Non ci sono quasi più alberi e l’erba non cresce più, così ogni anno dobbiamo spostarci sempre più lontano per sfamare il nostro bestiame”. A parlare è Aissata Ndiaye, un’anziana del villaggio che meno di 10 anni fa aveva 200 pecore, che vendeva al mercato per comprare la farina necessaria a sfamare la sua famiglia.

Alcune delle sue pecore morirono durante la siccità del 2011 e molte di più sono morte quest’anno. Quante te ne sono rimaste?” chiedo io. Fa segno ‘tre’ con le dita: non abbastanza per sopravvivere.

Suo marito e i suoi figli grandi sono in transumanza con le mucche, anche se quest’anno sono via da più tempo del solito. Nel Dipartimento di Podor, durante il 2017 le piogge stagionali sono diminuite del 66%. Ciò ha causato l’inaridimento dei pascoli e, di conseguenza, i pastori sono stati costretti a migrare verso Sud sei mesi prima del solito. Una trasferta prolungata che non solo ha colpito i famigliari rimasti al Nord senza mezzi di sostentamento, ma che ha anche inasprito il conflitto tra pastori e agricoltori che si contendono i pochi campi ancora fertili.

Maguette Diop, del team sicurezza alimentare e sussistenza di Azione Contro la Fame in Senegal, mi spiega le prospettive future e vede la necessità di adattarsi in modo radicale e urgente: “Costruire serbatoi d’acqua, coltivare foraggi e passare a colture che sono più resistenti al clima”. Le piogge non sono più regolari e le previsioni per i prossimi anni non sono affatto buone. “Queste persone vivono al limite, con la fame che incombe

Al centro sanitario, molte donne sono in attesa che i loro bimbi vengano controllati. Faimata tiene in braccio Bouray Ba, di 7 mesi. “Mio figlio è malato per colpa della carestia – dice – A giugno è morta l’ultima delle nostre mucche e così mio marito ha dovuto andare a Dakar per cercare di guadagnare qualche soldo. Non ci ha ancora mandato nulla e adesso anche il latte del mio seno sta finendo”.

Quando tocca a Bouray Ba, il medico rileva una grave malnutrizione acuta: lo inserisce nel programma di nutrizione e Faimata riceve subito sacche di soluzione terapeutica pronte all’uso. Ora può curare il suo bambino a casa e tornare al centro sanitario solo per monitorare il suo livello nutrizionale. Se le sue condizioni dovessero peggiorare, sarà mandato all’ospedale di Ndiuom.

Malick Abdud spiega l’importanza del bestiame per la sua comunità: “Fa parte della nostra famiglia. Se abbiamo acqua, la condividiamo con gli animali. Se perdiamo le nostre mucche, perdiamo la nostra identità”. Ma la cosa più snervante è non sapere quando pioverà di nuovo: “Questa incertezza ci logora, possiamo solo affidarlo alle mani di Dio”.

 

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