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L’attesa quotidiana dei profughi siriani in Libano

12 Aprile 2017

Il campo di Ghaze è il teatro di una tragedia umana, colpita dalla guerra e da disabilità fisiche e psicologiche. 

Najah, 42 anni, originaria di Homs, si prende cura di sua figlia cieca e di suo marito, che è rimasto disabile dopo essere caduto da una moto mentre fuggiva da un bombardamento. Entrambi restano chiusi tutto il giorno nel buio del negozio, senza alcun desiderio di uscire. “Andremo fuori il giorno in cui potremo tornare a casa”, ha detto il padre. 

Najah non riesce a trattenere le lacrime quando racconta la sua storia:  “La vita era diventata troppo difficile in Siria. Ho pensato che avremmo potuto resistere, ma dopo tre anni di guerra ho ceduto. Ero esausta. ” 

Aiutata da conoscenti, è riuscita a raggiungere il Libano con il marito e la figlia. Questo inverno è stato il terzo nella valle della Bekaa. “Un giorno ho pensato che saremmo morti qui,” dice con voce rotta. “Era tarda notte e la neve cadeva fitta. Il rombo del vento era assordante, quando improvvisamente la tela ha ceduto sotto il peso della neve e noi siamo rimasti intrappolati sotto.”

Dopo questo avvenimento, la famiglia di Najah è stata assistita da organizzazioni non governative, che fin dall’inizio della crisi organizzano interventi specifici per l’inverno, con l’obiettivo di rafforzare le strutture degli impianti. Quando le tende rischiano di collassare, le ONG trasferiscono temporaneamente le famiglie in altri rifugi finché la neve si ferma e riescono a riparare le loro case.

Nella valle della Bekaa, circa 500 000 rifugiati sono esposti a temperature estreme per diversi mesi all’anno: freddo gelido in inverno e 40 gradi in estate. Le famiglie vivono in strutture di plastica molto precarie. Non hanno accesso al riscaldamento e nei giorni più freddi molto spesso l’acqua congela. Per riscaldarsi, accendono i fuochi all’interno di spazi chiusi e, come sempre, sono i bambini e gli anziani a soffrire di più.

Tuttavia, nonostante la maggiore vulnerabilità dei rifugiati, i fondi diminuiscono drasticamente. Nel 2016, è stato raccolto solo il 46% dei fondi del piano di risposta umanitaria per la Siria delle Nazioni Unite, stimato a 3.18 miliardi. “Il sostegno internazionale delle istituzioni governative e delle comunità locali ha raggiunto un livello che non è, purtroppo, proporzionale alle necessità”, dice Jésus Capilla, Responsabile dei programmi di risanamento dell’acqua in Libano.

Inoltre, i flussi migratori esercitano una fortissima pressione sul Libano: “Il Paese ha la concentrazione più grande pro capite di rifugiati nel mondo: in Libano 1 persona su 5 è un rifugiato siriano,” dice Capilla.

Abdul, il “Shawish”, il capo comunità di Ghaze 003, è pienamente consapevole di questa situazione. “Dobbiamo continuare a lottare per migliorare le nostre condizioni di rifugiati, ma senza perdere di vista tutto ciò che il Libano ha fatto per noi finora. Ci ha accolto nel suo territorio. Quindi sono nostri fratelli,” dice mentre aiuta Fatima a spingere la sedia a rotelle di Ali, che guarda verso il basso, vergognandosi di essere bloccato nel fango.

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