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Quando le guerre si nutrono di fame

19 Gennaio 2018

Il 2017 passerà alla storia come un anno disastroso, in cui la fame è cresciuta di nuovo per la prima volta negli ultimi 10 anni sopra gli 800 milioni di persone e il numero dei rifugiati ha superato quello della seconda guerra mondiale. Questi dati, massimo esempio di sofferenza umana, sono una diretta conseguenza della violenza. Una violenza sempre più diffusa e, soprattutto, più radicata. Oggi i conflitti durano tre o quattro volte di più di quanto durassero un secolo fa: un rifugiato trascorre in media 17 anni nei campi. Il numero di rifugiati nel mondo è raddoppiato tra il 2007 e il 2016, per superare i 65 milioni nel 2017. Le quattro principali crisi alimentari dell’anno (in Sud Sudan – con una carestia dichiarata a febbraio -, Yemen, Nigeria e Somalia) sono direttamente collegate alla guerra e la violenza.

La relazione tra fame e guerra non è una relazione causa-effetto, ma funziona in entrambe le direzioni. Da un lato, le guerre provocano la fame perché producono enormi spostamenti di persone che fuggono da ciò che le provoca, abbandonando i loro mezzi di sostentamento e altri beni produttivi (il 56% di coloro che vivono nei conflitti vivono nelle aree rurali) e diventando dipendenti dagli aiuti umanitari. Le guerre interrompono il commercio, distruggono le infrastrutture e l’economia dei Paesi in conflitto. Questa relazione dura anche quando le armi sono “silenziose”, sotto forma di campi minati, di generazioni perdute e di regressione nello sviluppo socioeconomico delle popolazioni colpite.

Dall’altro lato, la fame provoca guerre. La competizione per le risorse naturali, o direttamente per il cibo, è all’origine del 77% dei conflitti. L’aumento del prezzo del pane o di altri generi alimentari di prima necessità è stato il fattore scatenante per alcuni degli episodi più noti delle primavere arabe. Il cambiamento climatico viene sempre più analizzato come un fattore di danno e una seria minaccia per la pace. I cinque anni di siccità prolungata in Siria sono stati tra i motivi che hanno scatenato le violenze nel 2011. Nel Sahel e nel Corno d’Africa, i conflitti tra pastori e agricoltori sono proporzionali ai mesi di siccità.

C’è una terza dimensione alla base di questa relazione causa-effetto: l’uso della fame come arma di guerra. Un’arma molto economica e di distruzione di massa. Non è una novità: le città sono state prese di mira da sempre, ma con il fatto che le guerre moderne sono sempre più spesso portate avanti da gruppi armati e non da eserciti regolari, i loro abitanti vengono sempre più spesso colpiti indiscriminatamente, nonostante sia vietato in modo esplicito dal diritto umanitario internazionale (tra gli altri testi, nella quarta Convenzione di Ginevra del 1949, nel protocollo aggiuntivo I del 1977 e nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 2002).

Questi testi non solo condannano esplicitamente l’assedio delle città o la distruzione di strutture produttive per affamare la popolazione civile, ma proibiscono anche il blocco degli aiuti umanitari. In Azione contro la Fame siamo stati testimoni diretti di queste violazioni, che rendono più difficili ottenere i visti, i permessi di trasporto e di stoccaggio e cercano di rendere più difficile l’accesso diretto alle vittime. Come se non fosse abbasatanza, spesso gli operatori umanitari sono attaccati direttamente: solo nel 2016, 101 operatori umanitari hanno perso la vita per questo motivo.

È chiaro che solo la costruzione della pace può porre fine alla fame e alle sofferenze umane causate dalle guerre. Ma mentre un processo di pace viene perseguito, negoziato o imposto ai tavoli da gioco della geopolitica internazionale, devono essere soddisfatti gli standard minimi per garantire che le guerre non aggravino la fame o generino nuove guerre. Queste regole sono scritte chiaramente. Gli operatori umanitari raccolgono e documentano continuamente prove di non conformità a queste norme, che devono essere fatte rispettare. La fame si auto-alimenta, e questo è esattamente ciò che dovremo evitare nel 2018.

Olivier Longué
Direttore generale di Azione contro la Fame Spagna

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