Roda Keji, 29 anni, è arrivata in Sud Sudan nel 2014 dal villaggio di Mugali. Oggi, vive in un insediamento di rifugiati in Uganda con i suoi quattro figli ed è incinta del suo quinto figlio. Si prende cura anche dei tre figli di sua sorella minore, che è stata uccisa a Juba nel luglio 2016.
Roda è un membro attivo di uno dei molti gruppi di sostegno “mamma-a-mamma” creati da Azione Contro la Fame nel Nord dell’Uganda, per aiutare le mamme a ricostruire le loro vite. In ogni gruppo, formiamo una madre, eletta dal gruppo, per insegnare alle altre madri le migliori pratiche in materia di nutrizione, alimentazione infantile, igiene e salute.
“Siamo scappati per via della guerra. Le truppe governative sono arrivate e hanno strappato le persone dai loro letti durante la notte, uomini e donne. Li hanno accusati di aiutare i soldati ribelli. Mio marito è a Nimule, una città ugandese al confine con il Sud Sudan. Non poteva attraversare il confine, perché non ha i documenti giusti. Le donne possono attraversare liberamente. Ho attraversato il confine per fargli visita lo scorso settembre. Inotre, se un uomo attraversa il confine, per il governo significa automaticamente che quell’uomo si è unito ai ribelli e così non può più tornare indietro.
Sono dovuta scappare con i miei figli e quando siamo arrivati al confine le Nazioni Unite erano lì per aiutarci.
“Quando siamo arrivati non c’era nulla da mangiare e i miei figli hanno veramente sofferto la fame. Non avevamo un posto dove stare e non c’era nessuno ad aiutarci. Ho dovuto costruire il nostro rifugio partendo dai mattoni. Ho costruito le fondamenta e poi ho venduto la mia razione di cibo in modo che potessi pagare degli uomini per finire la casa. Al momento uso la mia razione di cibo per fare delle frittelle che vendo, per raggranellare dei soldi per la mia famiglia, ma non è sufficiente. Anche mio marito invia dei soldi per contribuire a sostenere la famiglia.
Il marito di mia sorella era un soldato ed è stato ucciso combattendo i ribelli. Erano le vacanze scolastiche e i figli di mia sorella erano a stare da me quando è scoppiata la guerra e siamo dovuti fuggire. Non c’era modo che potessero tornare da lei a Juba. Poi nel luglio 2016 mia sorella è rimasta uccisa dal tiro incrociato di una sparatoria. I bambini non l’hanno più vista da quando siamo fuggiti.
Tutti i bambini vanno a scuola. Se ho dei problemi li ho condivido con le altri madri del gruppo.
Siamo tutte unite. Siamo tutte sorelle.
Se ho bisogno di andare al centro sanitario, le mie vicine mi aiuteranno.
Non so quando potrò rivedere mio marito. Parliamo al telefono. Mi chiede tutto il tempo: ‘Come stanno i bambini?’ Se la guerra si ferma tornerò al Sud Sudan con i miei figli.”