A quasi tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina e dall’avvio delle sue missioni in Moldavia, Polonia e Romania, Azione Contro la Fame (organizzazione umanitaria internazionale impegnata nella lotta contro la fame e la malnutrizione infantile) ha redatto un documento che contiene una prima analisi dell’impatto del conflitto in corso sulle aree del Sud del mondo in cui il suo network opera. Il report dimostra, dati alla mano, le conseguenze dirette delle ostilità sulla sicurezza alimentare di milioni di persone.
Azione Contro la Fame denuncia, innanzitutto, un incremento senza precedenti dei prezzi relativi ai beni di prima necessità, con particolare riferimento al grano. Molte aree del pianeta, oggi, dipendono direttamente dalle importazioni da Russia e Ucraina per soddisfare il proprio fabbisogno: Nord Africa (Egitto, Libia, Algeria), Medio Oriente (Yemen, Libano, Iraq) e, in misura minore, Africa subsahariana (Nigeria, Sudan, Senegal) e Asia (Bangladesh). La guerra in corso non ha fatto altro che impattare sull’acquisto della materia prima: del resto, Russia e Ucraina, nel 2021, erano tra i primi cinque Paesi esportatori. Le interruzioni alle infrastrutture di transito, la potenziale distruzione delle scorte, la difficoltà legate all’avvio della prossima campagna di coltivazione rischiano di generare, ora, un danno alle famiglie più povere, minacciandole sia nell’immediato che nel medio termine.
“Il conflitto in Ucraina – ha dichiarato Giovanni Sciolto, direttore di Azione Contro la Fame nella Repubblica democratica del Congo – si riverbererà, inevitabilmente, sui prezzi di questa preziosa materia prima, peggiorando ulteriormente la situazione nel Paese. In Burkina Faso, dove tre milioni di persone si trovano oggi in condizione di insicurezza alimentare, si prevede che la fame aumenterà in modo significativo durante la cosiddetta stagione magra”.
L’aumento dei prezzi del petrolio e del gas causato dal conflitto sta anche incidendo sul costo del trasporto marittimo, influenzando direttamente anche quello del cibo, oltre che il potere d’acquisto delle famiglie. Il prezzo del gas, per esempio, sta già generando una impennata sui costi di produzione dei fertilizzanti. In Sierra Leone, inoltre, i prezzi del petrolio sono aumentati bruscamente di più dell’80% nel giro di pochi giorni, con un grave impatto sul trasporto pubblico. Secondo Mohamed Takoy, direttore di Azione Contro la Fame nel Paese, “la situazione, qui, era già molto precaria a causa dell’impatto della pandemia: oltre 1,2 milioni di persone affrontano l’insicurezza alimentare. Con questa nuova crisi, tale numero potrebbe aumentare di 400.000 unità in pochi mesi”.
Il trend rischia, adesso, di generare una vera e propria crisi alimentare e di aggravare gli scenari descritti, lo scorso anno, dal rapporto SOFI. Ora, anche a causa della guerra in Ucraina, l’obiettivo “Fame Zero” appare un traguardo lontano, anche in ragione dell’incremento del costo degli aiuti umanitari. Secondo Isabelle Robin, direttore regionale delle operazioni per l’Africa centrale, “con l’aumento dei prezzi, Azione Contro la Fame potrebbe non essere in grado di acquistare e trasportare la quantità di prodotti, alimentari e non, prevista. Potremmo dover ridurre la nostra assistenza e non aiutare, così, tante persone in un momento in cui bisogni umanitari saranno in forte aumento. È, quindi, essenziale mobilitare i donatori per aiutare i più vulnerabili a superare questa nuova crisi”.
“Con una guerra in corso che produce conseguenze sulla sicurezza alimentare globale – ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione Contro la Fame – sono state diverse le voci che, in queste settimane, sono tornate a sostenere un rafforzamento della produzione agricola industriale per far fronte alla domanda internazionale. Ma si tratta di proposte strumentali: questa guerra conferma, ancora una volta, la fragilità dei sistemi alimentari e l’inadeguatezza del modello che fa riferimento all’industria dell’agribusiness”.
Azione Contro la Fame, dal canto suo, propone una “ricetta” diversa: un aiuto umanitario capace di soddisfare, sin da subito, i bisogni delle popolazioni e di scongiurare una carestia globale; la cessazione immediata delle ostilità in Ucraina; un impegno da parte della comunità internazionale di impedire l’uso della fame come arma di guerra (risoluzione 2417).
Ma non solo: l’organizzazione ritiene sia giunto il momento di rafforzare la sovranità alimentare ed economica degli Stati attraverso la trasformazione dei sistemi alimentari. Il punto di partenza è, oggi, rappresentato dall’agroecologia contadina che, grazie a una produzione agricola localizzata e fatta di colture alimentari, consentirebbe alle aree più vulnerabili del pianeta di ridurre la dipendenza dai gruppi agroindustriali multinazionali.
“È, infine, necessario – conclude Garroni – che il Nord del mondo, oltre a contribuire direttamente alla lotta alla crisi climatica, causa essa stessa della fame, sconfessi il modello basato sulle monocolture e sulle pratiche agricole che riducono, allo stato attuale, la fertilità del suolo. Inoltre, occorre rispedire al mittente i tentativi delle multinazionali dell’agribusiness di assumere una centralità sul tema della sicurezza alimentare”.