Milano, 27 luglio 2022
“La fame non dovrebbe mai essere usata come arma di guerra: questo accordo rappresenta un primo passo, che potrebbe contribuire a ridurre la pressione sui mercati e i tassi di inflazione e, quindi, migliorare l’accesso al cibo specie in Paesi dove la fame è già una realtà”, dichiara Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame, organizzazione internazionale attiva da 40 anni in 51 Paesi nel mondo, a commento della notizia dei primi carichi di grano partiti dal porto di Odessa, dopo l’accordo firmato da Russia e Ucraina.
L’organizzazione accoglie positivamente la notizia ma ammonisce sul fatto che, per avere impatto sulla crisi alimentare in corso, il grano “sbloccato” dovrebbe essere reindirizzato verso i Paesi in cui la domanda è drammaticamente alta. Ad esempio, in Somalia, dove Azione Contro la Fame è presente dal 1992. Qui, da gennaio 2022 a oggi, il numero di bambini gravemente malnutriti curati dall’organizzazione nei 51 centri medici e ambulatori di nutrizione che gestisce in tutto il paese, è aumentato del 60%.
I Paesi del Corno d’Africa sono tra i più colpiti dall’aumento dei prezzi e dell’inflazione. Qui Azione Contro la Fame ha attivato e sta rafforzando una risposta di emergenza attraverso il personale locale e i partner, fornendo servizi sanitari e nutrizionali salvavita, con una particolare attenzione per i bambini e le donne in gravidanza e in allattamento.
“In questo momento occorre essere chiari su un punto: la crisi alimentare che stiamo vivendo non dipende dalla guerra in Ucraina, ma ha iniziato a manifestarsi ben prima del conflitto. Oggi, l’inflazione basata sulla speculazione è la causa principale dell’insicurezza alimentare, molto più di una reale carenza di grano o di cibo in generale”, prosegue Garroni.
A livello globale, infatti, non c’è carenza di scorte alimentari. Il vero problema è l’accesso al cibo, e questo dipende dalle cause strutturali della fame: i conflitti, la crisi climatica e le disuguaglianze, sociali e di genere.
Inoltre, la crisi alimentare globale, pur essendo accentuata dal conflitto in Ucraina e dal blocco delle scorte alimentari, trova terreno fertile in due anni di pandemia, crisi economiche, crisi del debito, problemi di governance e conflitti locali, dipendenza netta dalle importazioni, ecc. A tutto questo vanno aggiunte le misure unilaterali adottate da alcuni Stati in chiave protezionistica, e che si ripercuotono sulle regioni più vulnerabili (ad esempio, ci sono Paesi che riducono o addirittura vietano le esportazioni di cibo per nutrire la propria popolazione, come la Cina, che detiene il 50% delle riserve mondiali di grano).
Lo sblocco del grano ucraino è certamente un fatto importante, ma il rischio di un’escalation della fame non sarà eliminato da questi 20 milioni di tonnellate. Se si considera che l’Ucraina è un importante produttore di colture, tra cui grano, olio e semi di girasole e mais, l’attuale crisi di accesso al cibo potrà in futuro aggravarsi e trasformarsi in carenza.
“Anche per questi motivi, è assolutamente necessario preservare la capacità produttiva agricola del Paese, facilitando in ogni modo le esportazioni, proteggendo i civili e le infrastrutture vitali in conformità con il diritto umanitario internazionale e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non da ultimo, sarà essenziale potenziare gli sforzi diplomatici per porre fine al conflitto che, come tutte le guerre, è una delle tre cause strutturali della fame nel mondo”, conclude Garroni.