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BANGLADESH: AL CAMPO PROFUGHI I PRIMI CASI DI COVID19

13 Giugno 2020

Comincia a prendere forma l’emergenza-Covid nel più grande campo profughi del mondo. A Cox’s Bazar, in Bangladesh, dove 855.000 civili Rohingya vivono in 34 insediamenti di fortuna, sono già 29 i casi accertati di coronavirus in pochi giorni. Sono 381, inoltre, i contagi confermati a Cox’s Bazar District, l’area in cui si trova questa grande “metropoli”.

La pandemia, in questa area, costituisce una emergenza nell’emergenza: qui, infatti, a partire dal 2017, si è “consumato” l’esodo della popolazione Rohingya. Centinaia di migliaia di civili hanno attraversato il confine tra Myanmar e Bangladesh stanziandosi nei pressi di una spiaggia che si estende per oltre 120 chilometri. Oggi, si stima che, all’interno del campo profughi di Cox’s Bazar, ogni chilometro quadrato sia occupato da 40.000 persone. Tra di esse anche migliaia di bambini: oltre il 40% soffre di malnutrizione cronica e le percentuali di malnutrizione acuta che li riguardano sono molto al di sopra delle soglie di emergenza stabilite dall’Organizzazione mondiale della sanità.

“Sia a Cox’s Bazar che all’interno del campo profughi è molto difficile dare seguito alle misure di contenimento per far fronte alla diffusione del Covid-19 – ha dichiarato Mahadi Muhammad, direttore di Azione Contro la Fame a Cox’s Bazar -. Innanzitutto, al di là della presenza di un campo di tali dimensioni, stiamo parlando di un territorio che presenta una elevata incidenza di povertà. In tanti non dispongono di abitazioni adeguate all’isolamento. Inoltre, specialmente nei mercati, le persone entrano in contatto con altre senza le dovute contromisure. Il campo, inoltre, è, davvero ‘congestionato’ ed è la ragione per cui c’è un alto rischio legato a una possibile propagazione della pandemia. Solo adesso stiamo iniziando a rilevare il numero dei casi ma non sappiamo in che termini i contagi cresceranno nel prossimo futuro. In tal senso, sia all’interno del campo sia a Cox’s Bazar, stiamo lavorando per favorire, in tempi rapidi, l’adozione di comportamenti igienici e adeguati alla situazione, promuovendo anche il distanziamento sociale”. 

Il coronavirus è, dunque, una emergenza nell’emergenza. “L’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza e la scarsa condizione nutrizionale è una ulteriore criticità che riguarda sia la popolazione bengalese di Cox’s Bazar sia i rifugiati Rohingya – ha aggiunto Muhammad – Più in generale, qui affrontiamo, contemporaneamente, più di una criticità. Basti pensare all’impatto dell’esodo dei Rohingya, iniziato qualche anno fa, ma anche agli effetti del recente ciclone sulla zona. Dobbiamo dare il meglio per rendere le persone resilienti in una situazione in cui si verifica una “compresenza” di emergenze, che mettono a dura prova la salute mentale delle popolazioni”.

La preoccupazione di Azione Contro la Fame non riguarda solo la “sfera” sanitaria. “In queste settimane, a causa delle restrizioni imposte delle autorità competenti, abbiamo constatato la chiusura di numerose scuole e, purtroppo, non disponiamo di una tecnologia avanzata per applicare l’e-learning, sebbene siano stati fatti passi avanti in questa direzione. L’economia locale è stata, inevitabilmente, colpita dalle misure di contenimento: molte persone sono rimaste senza lavoro. I piccoli negozi e le microimprese, del resto, hanno chiuso battenti impedendo a numerose famiglie di ricevere un salario”, ha affermato Muhammad.

In tal senso, per far fronte anche alla diffusione del Covid-19 e agli effetti del lockdown, Azione Contro la Fame, grazie a uno staff di 1.248 operatori e 1.555 volontari, ha incrementato in questi mesi il numero delle attività di sensibilizzazione in tema di salute e igiene rivolti a adulti e bambini. Sono stati, inoltre, installati ulteriori punti di accesso all’acqua, che hanno potenziato il sistema di 289 luoghi di distribuzione posti a regime nei mesi scorsi.

Azione Contro la Fame, negli ultimi anni, ha distribuito quasi 90mila kit di igiene e installato 4.388 servizi igienici. Ha, inoltre, supportato con attività di sostegno psicologico 151.131 rifugiati per aiutarli a superare il trauma delle violenze subite, consentendo loro di vivere meglio la loro condizione.

All’interno di Cox’s Bazar, l’organizzazione serve, ogni giorno, anche mille khichuri (un piatto locale fatto di riso, lenticchie, spezie e verdure) e 1.600 pasti caldi. Sono ben undici le cucine comunitarie attive. I più piccoli, come sempre, restano i soggetti vulnerabili più monitorati: 70.274 bambini sotto i cinque anni sono controllati, ogni mese, per scongiurare casi di malnutrizione. 26.881 bambini malnutriti, inoltre, hanno avuto accesso a trattamenti nutrizionali.

“Moltiplicheremo i nostri sforzi per andare incontro alle esigenze delle popolazioni bengalese e Rohingya – conclude Muhammad –. In questa situazione, con la chiusura delle piccole imprese locali, abbiamo distribuito, dal 25 marzo ad oggi, 13.000 pasti pronti ai più vulnerabili. Tali attività non hanno fermato i nostri programmi sul versante della nutrizione e della diagnosi della malnutrizione, su mamme e bambini. Stiamo, inoltre, avviando un’area speciale dedicata ai bambini colpiti dalla malnutrizione severa acuta con complicazioni legate al coronavirus. Forniamo anche attività di sostegno psicologico, che continueremo a garantire anche con un servizio di consulenza telefonica. Riteniamo, d’altra parte, che sia al campo sia all’interno della comunità bengalese la salute mentale, oggi, sia messa a dura prova. Molti, infatti, pensano di perdere la vita per via della pandemia o, comunque, vivono traumi legati agli effetti di questa nuova emergenza”. 


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