In Africa, dove fortunatamente la malattia non ha avuto l’intensità o la mortalità di altre regioni, è particolarmente preoccupante l’impatto su un sistema sanitario già fragile prima della pandemia: “Abbiamo dovuto compiere sforzi strenui affinché la popolazione non abbandonasse i programmi per prevenire la malnutrizione e continuare a garantire cure ai bambini con malnutrizione acuta”.
In Medio Oriente, l’aumento del prezzo degli alimenti di base sembra inarrestabile. In Libano, i prezzi del cibo sono raddoppiati da maggio. In questa regione il confinamento è stato particolarmente duro per il milione e mezzo di profughi siriani che vivono in Libano o in altre aree tra le più densamente popolate al mondo, come la Striscia di Gaza.
Nelle Filippine, il Paese con la quarantena più lunga, la distribuzione di cibo è stata cruciale nelle aree in cui i mercati hanno esaurito le scorte.
Va tenuto presente che in tutti questi Paesi la pandemia è stata solo una crisi in più, aggiunta a quelle già in evoluzione.
La fame, dopo decenni di riduzione, è aumentata negli ultimi cinque anni: nei conflitti radicati in molti Paesi, viene usata come arma di guerra.
I lavoratori umanitari sono personale essenziale
Manuel Sánchez Montero, direttore dell’advocacy e delle relazioni istituzionali di Azione Contro la Fame in Spagna, riassume in tre punti ciò che sta accadendo a livello umanitario: “Non si può fare di più con meno: è stato aggiunto l’impatto di COVID-19 ai bisogni umanitari preesistenti, quindi servono risorse straordinarie per fornire una risposta che non consideri solo lo stato di salute, ma che garantisca anche mezzi di sussistenza e sicurezza alimentare. In secondo luogo, non possiamo dimenticare altre crisi importanti, come la crisi umanitaria nello Yemen o la guerra in Siria. Infine, è importante che gli operatori umanitari siano considerati personale essenziale, così come il personale medico o dei servizi di base, per continuare a sostenere efficacemente le popolazioni”.
La difficoltà di movimento per gli aiuti umanitari, da cui dipendono quasi 170 milioni di persone nel mondo, è stata un’altra delle grandi sfide durante la pandemia. Azione Contro la Fame ha sostenuto dall’inizio della crisi che gli operatori umanitari debbano essere considerati lavoratori essenziali a tutti gli effetti e che tutti gli ostacoli amministrativi e logistici al loro spiegamento vengano eliminati.
La necessità di proteggere questi professionisti dal contagio e di adattare attività come la distribuzione di cibo in brevissimo tempo per evitare il contagio, e di farlo in un momento in cui la fornitura globale di maschere e dispositivi di protezione individuale era molto richiesta, è stata una sfida tra marzo e giugno.