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Insicurezza alimentare, a Gaza è “catastrofe” secondo la classificazione IPC dell’Onu

21 Dicembre 2023

IL RAPPORTO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE (IPC) REDATTO DALLE NAZIONI UNITE, DAI GOVERNI E DALLE ONG, TRA CUI Azione Contro la Fame, È STATO APPENA PUBBLICATO ED ATTRIBUISCE LA CLASSIFICAZIONE PIÙ ALTA, FASE 5 OVVERO "CATASTROFE", PER LA SICUREZZA ALIMENTARE IN DUE AREE DI GAZA.

La fase 5 di “catastrofe” indica un altissimo rischio di carestia nel nord di Gaza e per le migliaia di sfollati nel sud della Striscia, una delle regioni più densamente popolate del mondo, dove metà della popolazione è costituita da bambini.

La dichiarazione di oggi dovrebbe essere un punto di svolta, dato che finora ci sono state solo quattro dichiarazioni di carestia negli ultimi decenni: Sud Sudan (2017); Somalia (2011); Corea del Nord (1995) ed Etiopia (1984).

LA CLASSIFICAZIONE IPC

La dichiarazione di catastrofe è stata formalizzata dal sistema di Classificazione Integrata delle Fasi dell’insicurezza alimentare (IPC), formato da Nazioni Unite, governi e ONG, tra cui noi di Azione Contro la Fame.

L’IPC definisce le diverse fasi di insicurezza alimentare, dove la quinta è la più grave:

  1. Generale sicurezza alimentare
  2. Moderata insicurezza alimentare
  3. Acuta crisi alimentare e dei mezzi di sostentamento
  4. Emergenza umanitaria
  5. Carestia/catastrofe.

LA MANCANZA DI CIBO A GAZA

La situazione a Gaza oggi è devastante.

Almeno una famiglia su quattro a Gaza sta affrontando condizioni di insicurezza alimentare acuta e catastrofica. Ciò significa che la mancanza di cibo è così grave da causare fame estrema, tassi allarmanti di malnutrizione acuta tra i bambini più piccoli e un significativo aumento della mortalità.

Praticamente ogni famiglia di Gaza salta dei pasti ogni giorno e quattro famiglie su cinque nel nord e la metà delle famiglie sfollate nel sud, passano interi giorni e notti senza mangiare nulla.

Una situazione drammatica che potrebbe essere immediatamente capovolta consentendo un maggiore accesso umanitario a Gaza.

"Tutto quello che stiamo facendo è insufficiente per soddisfare i bisogni di due milioni di persone. È difficile trovare farina e riso e la gente deve aspettare ore per avere accesso alle latrine e potersi lavare. Stiamo vivendo un livello di complessità in questa emergenza che non ho mai visto prima. La nostra organizzazione può continuare a operare a Gaza, anche se in misura minima, perché lavoriamo lì da molti anni e conosciamo bene i fornitori, abbiamo una mappatura molto esaustiva di dove possiamo reperire le merci e un'elevata capacità di mobilitazione supportata da personale locale. Ma se i camion non riescono ad arrivare e non c'è carburante, la distribuzione di cibo e acqua diventa praticamente impossibile".

Noelia Monge, responsabile delle emergenze di Azione Contro la Fame, appena tornata dalla zona. Tweet

L’utilizzo della fame come arma di guerra è una violazione del diritto internazionale umanitario. Quando le persone soffrono di carenze alimentari estreme possono non solo morire, ma andare incontro a forti dolori, squilibri elettrolitici, apatia, stanchezza, deterioramento fisico e psicologico, degrado dei tessuti e danni agli organi vitali.

SERVE UN CESSATE IL FUOCO PERMANENTE

Noi di Azione Contro la Fame rinnoviamo l’appello per un cessate il fuoco permanente, con la massima urgenza, se la comunità internazionale vuole evitare che le persone muoiano di fame e di malattie. I bambini, i malati e gli anziani sono i soggetti più a rischio. Dobbiamo agire ora. La cessazione del conflitto è un prerequisito per una risposta umanitaria significativa, oltre che per garantire l’accesso umanitario e poter fornire una risposta massiccia e multisettoriale il prima possibile.

Abbiamo superato la fase di allarme e ora siamo arrivati alla catastrofe.

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