Attualmente la Giordania ospita circa 1,3 milioni di rifugiati siriani: la maggior parte di essi dipende dagli aiuti umanitari.
Oltre 4,1 milioni di persone, inoltre, necessitano di assistenza immediata in Iraq. Per loro, come in Siria e in Yemen, non solo il coronavirus ma anche gli effetti indiretti del lockdown alimentano le fragilità.
“È una corsa contro il tempo, in Medioriente, per implementare i programmi umanitari in corso con iniziative anti-covid capaci di far fronte alla fragilità dei sistemi sanitari e sociali messi a dura prova da violenze e instabilità politica – ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione Contro la Fame -. Se in Siria, a fronte di 11 milioni le persone che necessitano di aiuti umanitari, sette operatori sanitari su dieci dal 2011 hanno lasciato il Paese, solo 59 su 111 ospedali continuano a operare e meno di 500 sono le unità di terapia intensiva dotate di ventilatori, quella in Yemen resta la peggiore crisi alimentare: i prezzi dei prodotti di base sono aumentati dell’83% mentre più della metà della popolazione ha perso la propria attività economica a causa del conflitto. Accanto a uno scenario di questo tipo, prende sempre più forma anche l’emergenza-coronavirus che, come in Iraq e in Giordania, rischia di indebolire le comunità più vulnerabili”.
Giordania: un call center per le persone più vulnerabili
Attualmente, la Giordania ospita circa 1,3 milioni di rifugiati siriani e la maggior parte di essi dipende dagli aiuti umanitari: secondo le Nazioni Unite, il 78% vive fuori dai campi e si trova, al momento, al di sotto della soglia di povertà. Il rapido dispiegamento delle restrizioni anti-coronavirus, oltre alla chiusura delle frontiere, ha inoltre determinato una maggiore difficoltà nell’accesso ai generi alimentari di prima necessità e, allo stesso tempo, a una parziale interruzione dei programmi umanitari in un contesto umanitario già molto fragile.
Da Azraq a Irbid, passando per Amman, Azione Contro la Fame lavora per sostenere, in Giordania, le persone più vulnerabili attraverso programmi in tema di sicurezza alimentare, acqua, servizi igienico-sanitari e sostegno psicologico. In tal senso, già all’indomani dell’avvio delle prime misure di contenimento, la missione ha implementato le sue attività con azioni di sensibilizzazione della comunità attraverso un servizio di assistenza telefonica quotidiana destinato alle fasce più deboli della popolazione, che possono, così, ricevere supporto dai team dell’organizzazione e, allo stesso tempo, essere aggiornati sui rischi legati alla pandemia.
In attesa che tali restrizioni vengano mitigate dalle autorità locali, le call consolidano un legame di fiducia tra i civili e l’organizzazione e aiutano Azione Contro la Fame a identificare i loro bisogni immediati: la maggior parte delle persone ascoltate dai 38 operatori che gestiscono il servizio esprimono, oggi, la necessità di un supporto psicologico poiché, da lavoratori occasionali, si trovano senza alcuna fonte di reddito a causa del lockdown.
“Tale circostanza – ha aggiunto Zina Al-Gharaibeh, supervisore tecnico acqua e servizi igienico-sanitari – riguarda, in particolare, i rifugiati siriani che, normalmente, beneficiano dei nostri programmi di assistenza in denaro utili per soddisfare i bisogni di base, siano essi alimentari o non. La stragrande maggioranza delle persone esprime anche il desiderio di ricevere regolarmente informazioni sulle misure preventive per proteggere sé stessi e le proprie famiglie da qualsiasi rischio di contagio. Pertanto, il nostro lavoro risulta fondamentale per fornire informazioni affidabili e che possono rassicurare le popolazioni”.
Iraq: sostegno psicologico per le vittime degli effetti indiretti del lockdown
La crisi umanitaria in Iraq resta, inoltre, una delle più gravi del Medioriente. Oltre 4,1 milioni di persone, d’altra parte, necessitano di assistenza immediata e, a seguito della chiusura degli aeroporti e della formulazione di divieti di spostamento all’interno del Paese, la maggior parte dei programmi umanitari è stata sospesa. Estremamente indebolite dai conflitti e dagli sfollamenti forzati, le popolazioni risultano, così, le prime vittime degli effetti indiretti della lotta alla pandemia: oltre all’impatto sulla salute, la cessazione forzata delle attività che producono reddito ha, inevitabilmente, causato un ulteriore deterioramento delle condizioni di vita della popolazione.
Per limitare l’impatto del Covid-19, le autorità locali hanno chiuso confini e aeroporti. L’economia del Paese, che dipende per il 70% dal settore petrolifero, rischia di subire un notevole calo degli introiti pure a causa della contrazione globale del prezzo del petrolio.
“Prima dell’attuale crisi sanitaria – ha dichiarato Simone Garroni – lavoravamo, all’interno e all’esterno dei campi, per soddisfare le esigenze delle popolazioni ospitanti, sfollate e rifugiate. Oggi, le organizzazioni umanitarie possono solo effettuare interventi relativi al contenimento del virus; altri progetti sono stati, temporaneamente, sospesi. Tuttavia, i nostri team forniscono un servizio di assistenza telefonica giornaliero per mantenere un legame con le comunità e fornire un sostegno psico-sociale a distanza, anche per far fronte a numerosi casi di violenza domestica”.
Ma non solo. Le popolazioni irachene non hanno facilmente accesso a gel igienizzanti e prodotti per l’igiene. Nelle aree più difficili da raggiungere, in particolare quelle rurali, le persone non sono sempre informate sui pericoli del virus e, persino, sulla sua stessa esistenza. Così, parallelamente alle attività “da remoto”, i team di Azione Contro la Fame presenti a Mosul distribuiscono anche kit di igiene con sapone e prodotti disinfettanti in zone caratterizzate da strutture sanitarie fragili.
“Nonostante la lenta diffusione del virus, la mobilitazione delle autorità irachene e l’impegno delle organizzazioni umanitarie – conclude Garroni – è probabile che il Paese debba affrontare una crisi sanitaria senza precedenti: negli ospedali mancano, del resto, le attrezzature e i prodotti medici per soddisfare le crescenti esigenze. Inoltre, la percezione del virus come una malattia di cui vergognarsi, spinge alcune persone a non curarsi e molte famiglie a rifiutare la quarantena. In questo contesto, la distribuzione dei nostri kit e il servizio di assistenza telefonica diventano cruciali per evitare la diffusione del virus e ‘stressare’ il meno possibile le strutture ospedaliere. Ad oggi, i nostri dipendenti di Mosul, Dohuk e Sinuni hanno contattato più di 2.000 persone in tutto il Paese e hanno distribuito prodotti per l’igiene a migliaia di famiglie”.
Aiutaci a proteggere le popolazioni più vulnerabili.