Oggi, a quasi tre mesi dalla prima segnalazione, l’emergenza peste in Madagascar si sta stabilizzando, con una diminuzione netta del numero di casi. “Sulla base dei dati raccolti nei centri di trattamento, possiamo dire che il picco dell’epidemia è passato. Ma i dati epidemiologici non sono del tutto affidabili,”spiega Claire, responsabile della risposta alla peste in Madagascar per Azione Contro la Fame.
“Al culmine del picco di due settimane fa, non erano in vigore misure di triage per separare casi sospetti, confermati o addirittura non di peste. Tutti i pazienti che si presentavano nei centri sanitari sono stati contati come casi di peste senza fare affidamento sui risultati dei test rapidi. Oggi, dobbiamo continuare a monitorare gli sviluppi, soprattutto perché i servizi sanitari non sono ben visti dalla popolazione.”
SUPERARE LA RILUTTANZA DELLA POPOLAZIONE
La crisi sanitaria è anche il riflesso di un’altra crisi: quella della sfiducia di una parte della popolazione nei confronti delle autorità. “Alcuni genitori pensavano che i loro bambini fossero stati vaccinati con la forza mentre erano a scuola, ma non esiste nemmeno un vaccino contro la peste,” racconta Mino, che sovrintende al team mobile di Azione Contro la Fame. “C’è molta paura verso questa malattia, ma allo stesso tempo alcune persone negano la sua stessa esistenza e parlano di manipolazione politica” (il Madagascar voterà alle elezioni presidenziali nel 2018).
Mino e la sua squadra girano quotidianamente nei quartieri più degradati della capitale per disinfettare le case considerate a rischio. Dotati di uno spray contenente una soluzione di cloro, entrano nelle case e spruzzano il terreno per distruggere i germi. “Spieghiamo alle persone che cos’è la disinfezione e poi chiediamo se tutti stanno bene in famiglia. Non parliamo direttamente della peste, perché le persone sono sospettose e talvolta rifiutano di ascoltarci. Bisogna introdurre l’argomento dolcemente”.
INTERVENIRE NELLE COMUNITÀ PER COMBATTERE LA DIFFUSIONE
Il nostro team riceve regolarmente segnalazioni di sospetti casi di peste o di morte sospetta da parte delle autorità sanitarie. Accompagnata da un operatore comunitario, lanci Fanja cammina per il quartiere alla ricerca dell’indirizzo esatto. In queste costruzioni precarie, gli indirizzi non sono precisi e spesso coprono diverse case. Ma la difficoltà più insidiosa è la vergogna che provoca la malattia. Nei centri sanitari per la cura della peste, spesso i pazienti non vogliono essere riconosciuti dalle loro famiglie o dai loro vicini di casa, e per paura di essere respinti talvolta danno indirizzi errati.
“In uno dei quartieri, le persone si sono rifiutate di lasciarci entrare perché pensavano che il contenuto dello spray avrebbe portato malattie. Abbiamo parlato con loro per spiegare il nostro lavoro e diffondere i messaggi di prevenzione. A volte ascoltano i consigli della radio, ma non hanno nessuno con cui parlare o a cui fare domande.”
COMPRENDERE IL CONTESTO PER RISPONDERE MEGLIO ALL’EMERGENZA
Le ultime epidemie di colera ed Ebola ci hanno permesso di trarre alcune conclusioni: è impossibile combattere un’epidemia senza il sostegno delle comunità, che sono le prime a essere colpite. Di fronte alla paura, allo stigma e alla manipolazione della malattia come portabandiera di rivendicazioni, è necessario comprendere le reazioni delle persone e coglierne i blocchi. Per migliorare questa comprensione, abbiamo avviato uno studio socio-antropologico per adattare la risposta in base a questi parametri.
Allo stesso tempo, nelle baraccopoli, i nostri team hanno usato le loro conoscenze dei quartieri e degli abitanti per sviluppare un approccio di consapevolezza della malattia che tenesse conto degli aspetti psicosociali. “Ci comportiamo nello stesso modo in cui agiamo per combattere la malnutrizione”, spiega Noro Perle, che sovrintende ai gruppi di sensibilizzazione: “da una parte andando di porta in porta e d’altra parte intervenendo in luoghi pubblici. Ricordiamo a tutti che consultazioni mediche e cure sono gratuite, ma molti non vogliono farsi visitare. Da un lato perché non possono permetterselo: nei centri di salute pubblica le consultazioni sono gratuite ma i farmaci vengono normalmente pagati. Dall’altro, perché alcuni professionisti privati ricorrono a pratiche scriteriate e hanno aumentato i loro prezzi. Questo non aiuta la gente comune a fidarsi delle cure fornite.”
Dal 2011 i nostri team combattono contro la malnutrizione nelle baraccopoli di Antananarivo e nel Sud del Paese. Con il sostegno dell’Agenzia svedese per la cooperazione internazionale allo sviluppo (SIDA), la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e l’UNICEF, abbiamo avviato una risposta di emergenza per la peste basata sulla comunità, per rafforzare le conoscenze e le buone abitudini delle persone, per proteggersi e assistere. Interveniamo in due ospedali della capitale per aiutare le équipe mediche.