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Tutti i vantaggi di coltivare in un campo di rifugiati

3 Agosto 2016

Muhammad passa dalla pianta di pomodori a quella di cetrioli: accarezza un frutto sorridendo, dice “è maturo” poi lo coglie, lo mette nel secchio e continua. La sua fattoria in Siria è lontana, ma è tornato a fare il suo lavoro in una delle quattro serre costruite da UNHCR nel campo Gawilan, nel Kurdistan iracheno.

Muhammad ha lasciato la sua fattoria alla periferia di Damasco ormai cinque anni fa. “Vivevo vicino a Ghouta – ci racconta – Poco dopo l’inizio del conflitto sono cominciati i bombardamenti e per due giorni i razzi non hanno smesso di cadere. Siamo stati molto fortunati a non essere colpiti”.

Ma in un Paese in guerra la fortuna non è destinata a durare a lungo, quindi Muhammad ha venduto tutti i suoi beni e con la sua famiglia si dirige verso la Turchia. Con il denaro che ha da parte, è riuscito a pagare per più di due anni l’affitto di tre appartamenti per la sua famiglia: “Ho pagato più di 50.000 euro in due anni. La Turchia è stato un infermo, la gente ti sfrutta. In famiglia abbiamo tutti provato a guadagnare qualcosa, ma quando ti pagano 10 lire turche al giorno (circa 3 euro), c’è poco da fare”.

Un nuovo inizio nel Kurdistan iracheno

Con gli ultimi risparmi, la famiglia parte verso la frontiera con il Kurdistan iracheno. “Non dimenticherò mai quel momento – racconta Muhammad – i peshmerga ci hanno sorriso e ci hanno accolto, ho avuto la sensazione che la guerra fosse finita”. La famiglia viene indirizzata al campo Gawilan, dove trovano una seconda opportunità: “Sono 18 mesi da quando viviamo qui, sto bene e sono molto fortunato” ci racconta. È stato una delle primissime persone a essere selezionate per questo progetto agricolo.

rifugiati, Kurdistan iracheno

Al momento, 450 metri quadrati di serre vengono coltivati e Azione contro la Fame supervisiona il funzionamento, mentre sviluppa delle collaborazioni con dei coltivatori locali per dare consigli ai rifugiati. “Ogni terra ha le sue peculiarità – afferma Yousif Khoshnaw, il nostro capo del progetto – se i rifugiati riescono a beneficiare del sostegno dei professionisti del settore, la qualità e la quantità dei raccolti può solo migliorare”. I benefici di questo progetto sono vari: oltre a migliorare la sicurezza alimentare per i rifugiati e a impiegare le famiglie, tiene bassi i prezzi delle materie prime. “Invece di acquistare prodotti che vengono da fuori, i rivenditori si riforniscono a livello locale. Non pagano i costi di trasporto e possono provvedere ai propri bisogni quotidiani. Vincono tutti” conclude Yousif.

Muhammad contempla soddisfatto i frutti del suo lavoro: “Molti dei miei parenti sono morti, ho perso due fratelli, mio padre è stato ucciso da una bomba, una delle mie sorelle è stata ferita e siamo stati presi più volte dal fuoco incrociato. E sono riuscito a scappare molte volte, sono davvero fortunato”.

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