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È mattina nella scuola ‘Mi Pequeño Sol’ di Lima e Luz Tamara sta pulendo i bagni, come sempre. All’improvviso sente delle urla provenire da un’aula: si toglie i guanti, lascia il secchio e si precipita a vedere. Un bambino di cinque anni è disteso sul pavimento in preda a un attacco e l'insegnante è nel panico. Luz riesce a sedarlo, poi prende carta e penna e annota sia i tempi tra una crisi e l’altra che la loro durata.

L'attacco che il 14 gennaio scorso ha devastato la città di Rann, nel nord-est della Nigeria, ha spinto circa 30.000 persone a trovare rifugio nella regione di Goura, in Camerun. Per la maggior parte si tratta da donne, bambini e anziani.

Da inizio gennaio le tempeste di pioggia, vento e neve nella valle della Bekaa hanno provocato inondazioni negli insediamenti dei rifugiati siriani, dove le acque grigie e reflue si sono mescolate con l'acqua potabile, costituendo un enorme pericolo per la salute pubblica

“Quando ero bambina qui la vegetazione era rigogliosa, adesso invece ci sono solo sabbia e vento. Non ci sono quasi più alberi e l’erba non cresce più, così ogni anno dobbiamo spostarci sempre più lontano per sfamare il nostro bestiame”. A parlare è Aissata Ndiaye, un’anziana del villaggio che meno di 10 anni fa aveva 200 pecore, che vendeva al mercato per comprare la farina necessaria a sfamare la sua famiglia.